Chiesa Parrocchiale

La CHIESA PARROCCHIALE

 

Vicende storiche ed edilizie

La chiesa parrocchiale di Sant’Ambrogio di Fiera

La chiesa sorge a pochi passi dal Sile, presso il grande e caratteristico Prato dove a ottobre si tiene la celebre fiera trevigiana di San Luca. Vicinissima corre la strada Callalta, antico asse viario che già in epoca romana collegava Treviso a Oderzo. Il fiume Sile, il Prato della Fiera e la Callalta sono dunque i tre principali elementi che connotano topograficamente e storicamente la chiesa di Sant’Ambrogio.
È al Sile, più precisamente al porto fluviale formatosi a valle della città, che si deve l’antica origine della chiesa; ed è all’importante mercato annuale – chiamato in un primo tempo “Fiera di San Michele” e più tardi “di San Luca” – che si deve lo sviluppo e la definizione della sua identità storica. […]
La fondazione della chiesa antica viene assegnata alla seconda metà del XII secolo. Al 1179 risale infatti il primo documento a noi noto che ne attesta l’esistenza. Fu fatta costruire dal vescovo di Treviso che volle dedicarla al grande vescovo di Milano, Ambrogio, vissuto nel IV secolo.
Ben presto la chiesa fu affidata all’Ordine cavalleresco dei frati Gerosolimitani (i futuri Cavalieri di Malta) dietro pagamento di un canone d’affitto. […]
Si sa che in passato molto difficilmente le chiese antiche – piccole o grandi che fossero – mantenevano immutata nel tempo la loro architettura. Senza dubbio anche la primitiva chiesa di Fiera, che doveva essere di modeste dimensioni, fu più volte e per cause diverse riparata, rimaneggiata e persino ricostruita, almeno in qualche sua parte. […]
Dobbiamo ricordare, sia pure rapidamente, i danni subiti dalla chiesa anche all’inizio del Cinquecento in seguito alla cosiddetta “spianata”, ordinata dalla Repubblica di Venezia al tempo della guerra contro la Lega di Cambrai (1509-11), e a causa delle nuove strutture difensive che in un primo tempo integrarono e poi sostituirono le mura medievali, non più in grado di garantire alla città una sicura difesa. La chiesa di Fiera, venuta a trovarsi isolata da Treviso per l’eliminazione della porta della Madonna, cadde in un miserevole stato di abbandono e di degrado. Ma, passato il momento di maggior pericolo, gli abitanti del luogo si organizzarono e provvidero a restaurarla. Ed è proprio a quella rinascita – non solo edilizia – che si deve far risalire il sorgere della parrocchia di Fiera come realtà pastorale ben definita, anche se il riconoscimento ecclesiastico le venne dato qualche tempo più tardi. […]
Quando molti anni più tardi fu visitata dal vescovo Corner, la chiesa non era stata ancora consacrata. Per questo importante rito si dovette aspettare molto tempo ancora. Nel 1643, la prima domenica di settembre, un altro vescovo veneziano, Marco Morosini, si recò alla chiesa di Fiera e finalmente la consacrò. In quel periodo il parroco era Paolo Franchi, un sacerdote marchigiano della diocesi di Fano. Fu certamente lui a far collocare nella chiesa la lapide commemorativa, trovata casualmente solo in tempi recenti perché “nascosta” nel tabernacolo dell’altar maggiore dell’edificio attuale, all’interno della “custodia eucaristica” superiore.
Molto probabilmente l’aspetto che la chiesa presentava tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento non era più quello originario, ma il risultato di vari interventi edilizi (restauri, modifiche, parziali rifacimenti) dovuti specialmente alle vicende storiche di cui abbiamo parlato. In ogni caso in quell’epoca la chiesa, dopo oltre cinque secoli dalla sua fondazione, era ritenuta poco adeguata sul piano funzionale e superata su quello estetico. Si decise quindi di demolirla e di sostituirla con un nuovo edificio che rispondesse alle mutate esigenze e agli orientamenti architettonici del tempo. Il progetto fu affidato al prete-architetto Matteo Pagnossin (1633 ca.-1712), prebendato della cattedrale di Treviso e zio materno del parroco di allora, Angelo Sartori.

Il Fonte battesimale

I lavori iniziarono nel 1710 e si conclusero dodici anni più tardi. Fu però verso la metà del secolo che la chiesa cominciò ad arricchirsi di marmi, stucchi, dipinti. L’edificio si mantenne inalterato fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando – presumibilmente negli anni Cinquanta – fu elevata di un piano la sacrestia.
Proprio a metà del secolo, Giovanni Antonio Farina, Vescovo di Treviso, celebra la consacrazione della chiesa di Sant’Ambrogio il 14 settembre 1851, dopo 129 anni dalla sua costruzione.
All’inizio del Novecento, poi, sul lato sinistro della chiesa fu aperta una cappella e fu aggiunto al presbiterio un corpo curvilineo di considerevoli dimensioni, detto “retrocoro”, autonomo rispetto alla chiesa; ora è adibito a cappella invernale. […]
In quello stesso periodo fu pure rifatto interamente il pavimento della chiesa, disseminato di pietre tombali secondo l’uso, antichissimo, di seppellire i defunti anche all’interno dell’edifico sacro, oltre che all’esterno, nell’area cimiteriale circostante. […]
Ogni volta che veniamo a sapere che una chiesa, pur pregevole per storia e arte, ha preso il posto di un’altra molto più antica, proviamo una stretta al cuore. Però, a nostra parziale consolazione, rimangono spesso tracce e testimonianze talvolta rilevanti della costruzione precedente. Ebbene, anche nell’attuale chiesa di Sant’Ambrogio c’è qualcosa che ci parla di quella primitiva e stabilisce con essa una continuità reale, palpabile. Ci riferiamo anzitutto al fonte battesimale in pietra d’Istria, posto in fondo alla chiesa, a sinistra […], la pala posta sull’altare laterale a destra del presbiterio che raffigura La Sacra Famiglia e la Trinità […], la pala dell’altar maggiore dove vi è raffigurato il santo titolare della chiesa, il vescovo Ambrogio, assieme ai due santi compatroni: Giovanni Battista e l’evangelista Luca. L’autore è il trevigiano Bartolomeo Orioli e l’anno di esecuzione il 1610. […]

 

La chiesa e il campanile

Descrizione della chiesa
Dopo aver dato uno sguardo panoramico alle principali vicende storiche ed edilizie dell’antica chiesa e di quella attuale, portiamo ora l’attenzione sull’architettura e sulle opere d’arte di quest’ultima.
La chiesa e il campanile, che s’innalza tra il corpo principale dell’edificio e il presbiterio, formano un solo organismo, semplice ma armonioso, anche se in parte modificato dalle aggiunte del primo Novecento. La struttura architettonica della chiesa si inserisce nel solco fecondissimo della tradizione palladiana che Matteo Pagnossin traduce qui in forme dimesse, ma di grande equilibrio e rigore compositivo. Emergono con evidenza, specialmente nella facciata, la ricerca di classica purezza, l’attento studio delle proporzioni e un sapiente rapporto tra i vari elementi, funzionali o semplicemente decorativi.
In queste caratteristiche presenti all’esterno, ma anche all’interno dell’edificio, si possono scorgere chiare anticipazioni dello stile neoclassico che andrà imponendosi in modo sempre più deciso nell’architettura religiosa come in quella civile nella seconda metà del Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento.

 

A) L’esterno

Particolare della facciata

La facciata della chiesa domina un arioso sagrato che ha assunto l’aspetto attuale nei primi anni Settanta del secolo scorso, dopo la demolizione di un’antica casa che lo chiudeva entro uno spazio angusto.
Essa è ripartita da quattro lesene – due centrali e due angolari – che poggiano su alti piedistalli e terminano con capitelli di ordine dorico romano, che sostengono la trabeazione. In questa risalta il fregio di derivazione classica, che prosegue lungo tutto il perimetro dell’edificio. Il fregio è formato da trìglifi e mètope alternati, secondo l’ordine dorico. I triglifi sono elementi rettangolari, solcati da due o tre scanalature verticali, mentre le metope sono superfici quadrangolari, spesso occupate da rilievi ornamentali che possono essere di soggetto vario, come nel nostro caso. Nella chiesa di Fiera, le metope cedono il posto, a intervalli regolari, a piccoli “oculi” che assolvono la funzione pratica di arieggiare il sottotetto.
La bianca facciata, rivestita di marmorino (come d’altra parte tutto l’edificio), si conclude con il timpano – delimitato dal frontone – che presenta un grande “occhio” centrale. In piena coerenza con la sobria eleganza della facciata è l’alto portale, rialzato di tre gradini sul piano del sagrato. Esso è riquadrato da una larga cornice ed è sormontato da un frontoncino triangolare.

Sant’Ambrogio

Circa a metà della facciata, negli intercolumni (cioè negli spazi tra una lesena e l’altra) si aprono tre strette nicchie che ospitano altrettante statue in pietra tenera di Fregona, vistosamente corrose dal tempo e dagli agenti atmosferici. Per la verità, per oltre vent’anni la nicchia centrale è rimasta vuota. Prima vi si trovava la statua di Sant’Ambrogio. Alla fine degli anni Ottanta, nel corso di piogge torrenziali la parte superiore della scultura si staccò e cadde frantumandosi sui gradini del portale d’ingresso. Nel 2010 è stata collocata una nuova statua del santo, opera di Giovanni Pietrobon, un giovane artista di Fiera.
La grande nicchia a lunetta, posta in posizione centrale appena sotto la trabeazione, era in origine un finestrone semicircolare come quelli delle pareti laterali. Esso dovette essere chiuso nel 1779, quando all’interno della chiesa, sulla controfacciata, fu collocato l’organo di Gaetano Callido.
Chi guarda la facciata dal piazzale antistante vede emergere sullo spiovente sinistro del frontone la parte superiore del campanile, costituita dalla cella campanaria ad archi, sormontata da un tamburo ottagonale che fa da base a un cupolino barocco detto, per la sua forma particolare, “a bulbo” o “a cipolla”.
Sul fianco destro della chiesa si apre l’ingresso secondario, anch’esso preceduto da una breve scalinata. Pochi metri più in là, in corrispondenza del presbiterio, sporge il corpo della sacrestia, a due piani, che riceve luce da due coppie di finestre con inferriata. Tra le due finestre inferiori si può vedere un leone di San Marco in pietra d’Istria, risalente alla prima metà del Cinquecento. […]

L’interno della chiesa

B) L’interno
Consideriamo ora l’interno della chiesa, anch’esso ricoperto interamente, pareti e soffitto, di bianco marmorino. Notiamo che è formato da un’unica aula rettangolare che si conclude con un profondo presbiterio, pure rettangolare, cui si accede salendo due gradini in pietra grigia e passando tra due balaustre in marmo rosso di Verona.
Dalle pareti della navata sporgono alte lesene con capitelli ionici. Tra gli intercolumni delle due pareti lunghe sono inseriti leggeri archi con chiave di volta, tutti ciechi tranne quello al centro della parete sinistra, in cui si apre la cappella aggiunta all’inizio del Novecento. Le lesene e gli archi sostengono la trabeazione sulla quale si imposta l’ampio soffitto a volta, reso più arioso ed elegante dalle vele di raccordo ai finestroni semicircolari e al grande arco centrale.

La Sacra Famiglia e La Trinità

I due altari barocchi ai lati dell’arco centrale – attraverso cui si accede al presbiterio – sembrano inseriti a forza nel breve spazio disponibile. Certamente aggiunti più tardi (probabilmente intorno al 1740), alterano almeno in parte il perfetto equilibrio che doveva essere previsto dal disegno originario. Essi, comunque, hanno il merito di ospitare due importanti dipinti. Il più antico è quello a destra: […] nella zona inferiore La Sacra Famiglia tra le sante Maria Maddalena e Caterina d’Alessandria, nella zona superiore La Trinità circondata da angeli. […]
La pala posta sull’altro altare, a sinistra del presbiterio, è il dipinto artisticamente più rilevante della chiesa sia per l’importanza dell’autore, Gaspare Diziani, sia per la qualità della composizione. Vi è rappresentato il Bambino Gesù che appare a Sant’Antonio di Padova, a San Francesco di Paola e a un santo martire non ancora identificato. […]
Un’altra tela, di dimensioni più modeste, che per qualche tempo svolse la funzione di pala d’altare, si trova sulla parete destra, sopra la porta laterale. Di questo dipinto conosciamo assai poco, non disponendo di documenti né di studi critici. Possiamo dire comunque che si tratta di un’opera neoclassica dell’Ottocento, che rivela con evidenza una mano esperta. Il soggetto rappresentato è un vigoroso San Paolo. […]
Nella navata notiamo anche la presenza di affreschi: quattro alle pareti e uno sul soffitto, tutti eseguiti nel XIX secolo.
Gli affreschi delle pareti sono opera del veneziano Sebastiano Santi (1789-1866), pittore neoclassico straordinariamente prolifico e apprezzato dai contemporanei. I dipinti illustrano quattro episodi della vita di Gesù: L’adorazione dei Magi e Il battesimo al fiume Giordano, quelli sulla parete sinistra; La guarigione del paralitico e L’incontro con i fanciulli, gli altri due, sulla parete opposta. Nell’ultimo il pittore ha lasciato le sue iniziali.

L’adorazione dei Magi

Il battesimo al fiume Giordano

 

 

 

 

 

 

 

La guarigione del paralitico

L’incontro con i fanciulli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’affresco del soffitto – più grande ma, sembra, di qualità inferiore – svolge il tema assai diffuso dell’Assunzione e glorificazione della Vergine. Non è noto il nome dell’autore, tuttavia non si può escludere che possa trattarsi dello stesso Santi il quale aveva offerto la sua disponibilità per la decorazione della volta.
E ora qualche parola sul pregevole fonte battesimale. […] Come abbiamo già precisato, il fonte battesimale si trova in fondo alla chiesa, a sinistra dell’ingresso principale, su un piano più elevato rispetto al pavimento. È leggermente inserito in un’alta nicchia che si conclude con una conchiglia a ventaglio, chiara allusione all’acqua e alla sua forza rigeneratrice. È formato da una grande tazza circolare con baccellatura, sostenuta da una colonnina fortemente sagomata. Il bordo della tazza è ornato da un ricco ed elegante fregio a teste di leone, alternate a foglie d’acànto: pregevole scultura veneziana del periodo “gotico fiorito” (o tardogotico), corrispondente al Quattrocento. La tazza del fonte battesimale è dunque l’opera d’arte più antica e fra le più preziose della chiesa.
[…]

Altare maggiore con i due angeli

Passando dalla navata al presbiterio, registriamo un deciso salto di qualità. Qui diversi interventi, quasi tutti compiuti intorno alla metà del Settecento, hanno saputo creare con esemplare equilibrio un ambiente ricco d’arte, dove ispirazione classica e gusto barocco convivono armoniosamente. Ne è chiaro esempio l’altar maggiore in marmi policromi, felice fusione di scultura e architettura. Al centro campeggia l’alto tabernacolo a forma di tempietto ottagonale con cupolino barocco, costituito da due “custodie eucaristiche” e sormontato dalla bianca scultura in marmo del Cristo risorto. Due piccole nicchie laterali ospitano due antiche e pregevoli statuette (gli Apostoli Pietro e Paolo) dalla sciolta plasticità bozzettistica. Si tratta infatti di due bozzetti in terracotta che, secondo Luigi Coletti, potrebbero essere stati eseguiti dal noto scultore bellunese Giovanni Marchiori. Questi è il sicuro autore dei due pregevolissimi angeli in marmo di Carrara, collocati alle estremità dell’altare. La sua firma è posta alla base di ciascuna delle due statue, nei confronti delle quali gli storici dell’arte hanno espresso giudizi altamente positivi. Gli angeli, di altezza naturale (cm 175 circa), tengono l’uno il turibolo, l’altro la navicella dell’incenso. Hanno grandi ali, vesti leggere con ricco panneggio, lunghi capelli, nobili lineamenti e incarnano quell’ideale di classica bellezza cui il Marchiori guardava con particolare attenzione e interesse.

Sant’Ambrogio tra i santi Giovanni Battista e Luca

Parte integrante dell’altar maggiore è la grande edicola marmorea, addossata alla parete di fondo del presbiterio, ma separata dall’altare stesso col quale tuttavia forma una struttura unitaria di notevole effetto prospettico. L’edicola, di spiccata impronta classica, incornicia l’importante pala di Bartolomeo Orioli, purtroppo parzialmente nascosta dall’alto tabernacolo che però in origine era più basso di cinquanta centimetri, poiché privo della “custodia eucaristica” inferiore.
Il dipinto è firmato e datato 1610: vi è raffigurato il santo titolare della chiesa, Ambrogio, affiancato dai due santi compatroni, Giovanni Battista e Luca. […]
Diamo ora uno sguardo alla ricca decorazione a stucchi, di gusto squisitamente barocco, che ravviva e rischiara l’intero presbiterio. Putti svolazzanti, teste femminili, festoni e ornati fantastici si notano un po’ dappertutto: sulle cornici delle grandi tele laterali che illustrano due importanti momenti della vita di Sant’Ambrogio, attorno all’ovale tiepolesco del soffitto, dove sono rappresentate Le tre virtù teologali, lungo i bordi delle vele che si aprono sulla volta a botte e in altri punti ancora. Di questo festoso ed elegante apparato decorativo non conosciamo l’autore, ma sappiamo che esso è genuina espressione dell’arte veneta della metà del Settecento. Un’attenzione particolare va riservata alla bianca scultura dell’Eterno Padre, quasi sospesa sul frontone dell’edicola dell’altar maggiore. Sembra anch’essa di stucco, invece è in legno dipinto, e non proviene neppure dalla stessa bottega. È quindi un’opera a sé stante, ma ugualmente di alta qualità.
Le due vaste tele delle pareti – dipinte, secondo Carlo Agnoletti, nel 1750 – sono attribuite al figlio maggiore di Gaspare Diziani, Giuseppe (1732-1803), che nella sua attività artistica, svolta all’ombra della personalità del padre-maestro, dimostrò di prediligere i temi storici. E proprio in questo filone si inseriscono i due dipinti di cui ci stiamo occupando.
In quello alla parete destra è narrato il celebre episodio che cambiò improvvisamente la vita di Sant’Ambrogio: la sua inattesa e irrituale elezione a vescovo di Milano per acclamazione del popolo che qui vediamo raccolto in un grande tempio. Nell’impianto scenografico della vasta composizione emerge quel manierismo accademico, quindi poco originale e personale, che caratterizza le opere di questo pittore, diligente e non privo di talento, ma lontano dalla statura artistica del padre.
Un diverso e più sicuro esito pittorico è osservabile invece nell’altra grande tela dov’è rappresentato il battesimo che Sant’Ambrogio conferì a Sant’Agostino, al suo figlio quindicenne Adeodato e all’amico Alipio durante la veglia pasquale del 387. […]

Madonna col Bambino

Il raffinato e quasi sontuoso soffitto del presbiterio è come squarciato dall’affresco, di chiara ascendenza tiepolesca, realizzato con la tecnica del trompe l’oeil, cioè dell’illusione prospettica, il cui effetto è appunto quello di dilatare illusoriamente lo spazio dell’architettura reale nella quale il dipinto è inserito. Non sappiamo con certezza chi ne sia l’autore, anche se gli studiosi lo attribuiscono concordemente al veneziano Giambattista Canal (1745-1825), figlio di Fabio, egli pure pittore e uno dei primi seguaci del Tiepolo. L’affresco rappresenta l’allegoria delle Tre virtù teologali (fede, speranza e carità), un tema classico utilizzato dallo stesso Tiepolo secondo una consolidata tipologia, ricca di elementi simbolici. Le tre Virtù sono rappresentate da altrettante figure femminili. La Fede regge con una mano il calice dell’Eucarestia e con l’altra la croce della Redenzione (due grandi misteri della dottrina cattolica); la Speranza tiene la mano destra sull’asta di un’ancora, antico simbolo di questa virtù; infine la Carità ha con sé due bambini cui sono destinate le sue cure. Sia la Speranza sia la Carità hanno lo sguardo rivolto verso la Fede, posta in posizione più elevata perché è da essa che entrambe traggono origine e alimento. La Fede, poi, ha gli occhi coperti da un lembo del manto ad indicare che le verità rivelate vanno accettate ciecamente, in un atteggiamento di totale fiducia in Dio.
La zona inferiore delle pareti lunghe del presbiterio è occupata da un coro ligneo in noce, molto semplice. Si distingue tuttavia l’originaria sede del celebrante, di chiara ispirazione classica, con colonnine dai capitelli corinzi che sostengono un frontone triangolare. Nella parte superiore dello schienale spicca una graziosa coppia di cherubini, elemento decorativo che troviamo anche sul tabernacolo e sulla cèntina marmorea della pala dell’altar maggiore. […]
Tornando nella navata della chiesa, si apre nella parete sinistra la cappella aggiunta – come già riferito – nei primi anni del Novecento. L’altare ospita una statua lignea policroma, raffigurante la Madonna col Bambino e risalente alla prima metà del secolo scorso. Si tratta di un apprezzabile lavoro di intaglio di uno scultore di Ortisei (Val Gardena), Giacomo Vincenzo Mussner. […]

L’Organo

Le celebrazioni liturgiche, spesso solenni, sono accompagnate e animate dai canti e dal suono dell’organo. Ebbene, tra le cose preziose che sono giunte fino a noi, la chiesa di Fiera vanta anche questa: un organo di prim’ordine, poiché uscito dalla prestigiosa bottega di uno dei più abili e ricercati organari veneti del tempo, Gaetano Callido, che lo costruì nel 1779.
Lo strumento è posto in una cantoria sopra l’ingresso principale della chiesa ed è inserito in una sobria cassa armonica di stile neoclassico con arco frontale. Il prospetto presenta ventisette canne di stagno a bocche allineate, disposte a cuspide con ali laterali. […]

 

Testo tratto da La chiesa di Sant’Ambrogio di Fiera, di Paolo Pozzobon, ed. San Liberale, Treviso 2010

 

 

Altre informazioni possono essere trovate anche nella scheda redatta dalla CEI in occasione del progetto per il Censimento delle Chiese delle Diocesi italiane per la descrizione e la valorizzazione dei beni culturali.

 

 

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